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Arresti minori forze dell'ordine

Di Cinzia Leone *

Quando un ragazzo minorenne, per la prima volta è fermato dalle forze dell’ordine e portato in Questura, l’emozione prevalente di solito è la paura, per ciò che potrebbe succedere in quel momento (perquisizione, interrogatorio), per le conseguenze (carcere, comunità), in alcuni casi paura di affrontare i genitori che verranno presto informati di quanto accaduto (paura che si arrabbino, paura di deluderli, ecc.). A volte (soprattutto se il reato ha una risonanza sociale) c’è la vergogna o la paura delle altre persone che sono venute a sapere l’accaduto come è stato raccontato dai media.

I ragazzi ai primi reati si presentano ai primi colloqui per le intense emozioni che seguono alla notizia di reato, tanto più se i minori sono stati sottoposti a un fermo o un arresto da parte delle forze dell’ordine. La confusione riguarda anche i differenti ruoli delle molteplici figure professionali che i giovani incontrano dopo essere stati denunciati: le forze dell’ordine, l’assistente sociale dell’USSM, il Pubblico Ministero, il giudice, la pedagogista, l’educatore, a volte l’assistente sociale del Comune, l’operatore del Servizio Tossicodipendenze, lo psicologo o altre figure della rete che si attiva in base delle problematiche che si evidenziano nel nucleo familiare.

Certamente la confusione aumenta quando i genitori, a volte mal consigliati da avvocati non specializzati nei processo penale minorile, assumono una posizione di negazione delle responsabilità dei figli riguardo al fatto – reato. I ragazzi si trovano scissi tra il desiderio di potersi raccontare alle persone con le quali costruiscono un rapporto di fiducia e la paura di tradire ancora la famiglia, la paura delle conseguenze.

I ragazzi che hanno commesso per la prima volta un reato non sanno se possono fidarsi degli operatori che incontrano durante il loro percorso educativo. Chi lavora insieme a loro deve tenere in considerazione queste emozioni e chiedersi, nelle diverse fasi della presa in carico, se l’adesione del minore al progetto educativo con lui concordato è formale o sostanziale. 

Dal punto di vista familiare, quando i genitori sono contattati dalle forze dell’ordine e informati del reato commesso dal minore (se arrestato in fragranza) o della denuncia a suo carico, sono costretti per un attimo a fermarsi, ad ascoltare, a volte a “sentire”, a guardare, a volte a “vedere” il figlio/la figlia in quel momento, in quella fase della sua vita, come se ci fosse un fermo immagine ed uno zoom dell’immagine stessa. La famiglia è travolta dalle emozioni e disorientata; i genitori si trovano nella difficile situazione di dover rimettere a fuoco l’immagine che hanno costruito negli anni del figlio o della figlia, e di dover trovare un modo per riattivare/rimodulare la comunicazione e la relazione con lui/lei. Ciò significa inevitabilmente mettersi in gioco nel proprio ruolo genitoriale (“sono/sono stato un buon genitore?“), ma anche come coppia genitoriale. Per esempio c’è la fatica di confrontare i diversi punti di vista sul figlio/a, di prendere decisioni condivise per aiutarlo a responsabilizzarsi… e tutto si complica quando i genitori sono separati, o comunque quando la coppia genitoriale è “saltata”.

In un’ottica sistemica, come è quella del progetto SPEM, la commissione del reato, una volta resa pubblica, ha ripercussioni su tutti i membri del nucleo famigliare e sulle loro relazioni, che richiedono la ricerca di nuovi equilibri.

Gli operatori che interagiscono con minori ai primi reati devono fare i conti anche con le emozioni della famiglie, fondamentali poiché costituiscono l'”aria che si respira in casa” dove vivono i ragazzi.

Si rileva necessario osservare anche altre dinamiche non funzionali al benessere dei minori, che potrebbero coinvolgere figure per loro significative, per esempio nell’ambiente scolastico o sportivo, nel gruppo dei pari, ecc.

A livello sociale inoltre, quando l’adolescente che commette un reato si fa scoprire rendendo pubblico ciò che era privato, lo zoom e i riflettori si accendono sul minore. Il silenzio è interrotto e questo ha conseguenze serie: si attiva il processo penale minorile, che può rappresentare l’occasione per rispondere ad una richiesta di aiuto da parte del ragazzo e per ricercare nuovi equilibri personali e familiari più funzionali nell’attuale fase di vita; però, soprattutto quando la tipologia di reato in gioco interessa l’opinione pubblica, si possono produrre forti reazioni sociali di etichettamento, che ostacolano gravemente il percorso educativo del minore.

Infatti, quando il reato diventa oggetto di interesse dell’opinione pubblica l’intensità delle emozioni si amplifica insieme alla notizia che deve fare audience. Lavorare con il minore e soprattutto con la famiglia, diventa molto più difficile, perché implica per gli operatori trovarsi di fronte a forti meccanismi di difesa psicologica, che si attivano in reazione ad un pericolo percepito più grande e complesso.


* Cinzia Leone: Pedagogista, esperta in processi educativi e formativi, membro del Consiglio Direttivo per la Regione Liguria dell’ANPE – Associazione Nazionale Pedagogisti Italiani, ideatrice e responsabile pedagogica del Servizio di Progettazione Educativa per Minori ai primi reati o a rischio di devianza (S.P.E.M.), Responsabile dell’area pedagogica del Centro LiberaMente, inserita nell’Albo docenti della Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno (SSAI) per l’insegnamento nella disciplina di pedagogia.

 

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